La chiesa sorge a poco più di un chilometro a nord di Momo, sull’antico percorso della “via Francisca” che da Novara e dai centri dell’area alpina (i valichi ossolani) portava i pellegrini a Roma. La troviamo citata per la prima volta, nelle Consignationes del 1347, anche se la storia dell’intero complesso architettonico si sviluppa tra il secolo XI, da un ampliamento dell’originaria “cappella de susta”, fino al secolo XVI. Testimonianze dell’antico edificio sono l’abside semicircolare (rivolta verso l’attuale tracciato viario) e la possente torre campanaria, la cui parte superiore è frutto della sopraelevazione terminata nel 1597. Le principali modifiche esterne riguardarono, nel XVI secolo, la realizzazione della cappelletta con portico, contente l’immagine della Vergine con il Bambino Gesù, che ricopre l’abside mentre nel 1610, ad opera del canonico Francesco Chiocaro, fu tamponato l’ingresso sul lato meridionale, ristrutturando la facciata, che venne interamente chiusa, e definendo, come uniche aperture, la porta dell’attuale ingresso e le due finestre laterali con inferriata. L’interno della chiesa ha subìto modifiche anche nel 1615, quando venne rifatto il tetto e furono realizzate le arcate a sesto acuto. Ciò che sorprende, di questo Oratorio, è il vasto ed articolato apparato decorativo, realizzato nei primi anni del 1500, attribuito ai fratelli Francesco e Sperindio Cagnola, e che rappresenta un esempio incomparabile, nel Novarese, per unitarietà e qualità; costituendo una vera e propria “Bibbia dei poveri”, secondo gli insegnamenti di San Gregorio Magno per il quale “l’immagine è la scrittura degli analfabeti”. L’esterno è caratterizzato, sulla parte sud, da sette affreschi devozionali, di cui due, purtroppo, perduti, databili fra l’ultimo quarto del XV secolo e il primo quarto del seguente. Le immagini sono di grandi dimensioni e raffigurano: san Grato benedicente, protettore contro il maltempo, sant’Antonio Abate, san Giulio, la Pietà, san Cristoforo. All’interno, nel catino absidale la SS. Trinità, nella forma figurativa del “Trono di Grazia” e racchiusa in una mandorla dai colori dell’arcobaleno, è sorretta da cinque angeli, mentre ai lati vi sono altri due angeli musicanti (con liuto e viella). Nel registro mediano, disposti simmetricamente, vi sono gli Apostoli. Tutti sono raffigurati con un libro in mano (simbolo di sapienza), oltre ad avere il capo circondato dall’aureola. In questa chiave iconografica essi rappresentano i “compilatori di lettere”, destinatari della “traditio legis” cioè la trasmissione della legge divina o della dottrina della fede da parte di Gesù e, sopra loro, è presente una sottile fascia bianca, su cui è scritto il nome di ciascuno. Nell’ordine sottostante, le Sette Opere di Misericordia, oggetto di approfonditi studi da parte di M. Laura Gavazzoli Tomea. Lungo le pareti sono raffigurati episodi tratti dai Vangeli, come anche dalla tradizione degli apocrifi. I Cagnola sviluppano la narrazione in trentasette riquadri, incorniciati da fasce bianche o rosse, con le Storie dell’infanzia, della passione, oltre al Peccato originale e all’Inferno. Sull’arco trionfale vi è l’Annunciazione. Nella controfacciata il Giudizio Universale, con Cristo Giudice accanto alla Vergine e a san Giovanni Battista, mentre sui piedritti sono collocati i quadri dedicati al Purgatorio e a un verosimile Limbo. Questi affreschi, soprattutto quelli relativi alla vita di Gesù, non hanno solo un’importanza storica per l’arte novarese, ma testimoniano la mentalità e la memoria collettiva delle persone che hanno vissuto in queste zone, restituendoci anche una testimonianza vivace della popolazione dei secoli scorsi; dalla fine del 1600, infatti, quando il pontefice Clemente VIII concesse per 5 anni l’indulgenza plenaria alla SS. Trinità, la Chiesa divenne luogo di venerazione e di culto sia per gli abitanti di Momo che per la popolazione dei paesi vicini, i quali portavano doni in natura e denaro e festeggiavano la ricorrenza con spettacoli, fiere e grandi bevute. Il ritrovamento di urne di epoca celtica, rinvenute durante i lavori di restauro iniziati nel 1982 e che riguardarono il consolidamento statico, il rifacimento del tetto, il drenaggio delle acque e le necessarie sottomurazioni, fanno supporre la presenza di un luogo sacro già prima del Cristianesimo. Fu rilevata “…la presenza di una necropoli del III secolo a.C. di tradizione golasecchiana, con urne cinerarie in cotto contenenti uno scarso corredo e i soli resti del rogo.” (Giovanni Uglietti, p.151, Antiquarium 2015). Dal 1995 al 1999 si procedette invece al restauro degli affreschi a cura di Claudio Valazza. L’impegno dei tanti appassionati volontari momesi che hanno dato impulso a questa fase di restauro testimonia l’importanza che questo luogo di culto ha sempre avuto per l’intera comunità